di Raffaella Di Meglio
Malattia
Quando i medici con le cure
“ufficiali”
non riuscivano a guarire il malato, si ricorreva a cure e a figure
alternative.
La cura con le sanguisughe era affidata
ad una donna, chiamata mammena
(levatrice) perché assisteva anche le donne durante il
parto. Le
sanguisughe erano chiuse in barattolo di vetro e applicate dietro le
orecchie.
In caso di mancata guarigione il rimedio
estremo cui si faceva ricorso era la rassa.
I parenti del malato bussavano alle case per chiedere un segno di
interesse e solidarietà: raccoglievano lardo, gocce di olio,
semi di grano, qualche pietra di sale, verdura, legumi. Questi doni
venivano bolliti e versati in un bagno caldo in cui veniva immerso
l’ammalato.
Morte
Un rito immancabile e tuttora in uso era
la veglia
del defunto. Avvenuto il decesso, i parenti del defunto preparavano la
stanza per la veglia. Il morto veniva disteso sul suo letto vestito con
l’abito da sposo, agli angoli del letto venivano posti
quattro
candelabri, lungo le pareti erano disposte delle sedie per i
visitatori. Sulla parete, dal lato della testa del defunto, veniva
steso un lenzuolo bianco, al centro del quale era posta una croce fatta
con un panno nero.
Nel mese dei morti, novembre, bussava
alle porte
delle case un uomo incurvato ed emaciato dal volto pallido e dagli
occhi arrossati, con una bisaccia sulla spalla. Era lo spiritiello
che doveva “rinfrescare” le anime dei morti. Dopo
aver
recitato preghiere e lunghi canti spaventosi di anime doloranti,
raccoglieva nella sua sacca le offerte della famiglia (fave, pane,
fichi secchi) e continuava il suo giro.
Figure magiche
Anche a Forio, come nel resto
dell’isola e in
molte altre aree del Meridione e d’Italia, racconti
tradizionali
testimoniano l’esistenza di credenze relative a figure
magiche ed
esseri fantastici. Tra i più ricorrenti il munaciello, la
ianara
ed il lupo mannaro.
Il munaciello,
spirito domestico, ambiguo dispensatore di fortuna, poteva manifestarsi
sia in sembianze umane sia sotto l’aspetto di un animale,
come un
coniglio bianco o una capretta.
La ianara
era una strega cui si attribuivano malefici e poteri soprannaturali
innati, tra cui quello di provocare l’a’ ndressia,
ossia
contrasti tra coppie o tra genitori e figli, e di far crescere u
scartiello, la gobba. Secondo i racconti popolari la ianara, donna
pressoché normale di giorno, durante la notte diventava
pericolosa, si infiltrava e si nascondeva nella casa della persona da
danneggiare aspettando che si addormentasse per posarsi sul suo ventre
fino a farle mancare il respiro.
Il lupo
mannaro,
figura mitica tipica di società contadine e pastorali, era
ricorrente protagonista di racconti di paura in famiglia o tra amici.
Era un uomo che nelle notti di luna piena si ricopriva di peli e vagava
per le campagne fino all’alba ululando come un lupo. Secondo
alcune versioni della leggenda, si tratta di una malattia, una sorta di
asma; in questo caso, rispetto alla ianara, cui il lupo mannaro era
accomunato dalla nascita nella notte di Natale, era una figura innocua
in quanto essa stessa malata anziché portatrice di malattia.
Altre versioni invece lo descrivono capace di sbranare altri esseri
umani.
Usi domestici
La paglia per il saccone
Prima dell’uso del materasso
si dormiva su
sacconi riempiti di foglie di granoturco, di crine o di lana di pecora,
detti ‘e
sbreglie. Ogni anno su un carretto trainato da un mulo
arrivava il carico di paglia.
Cenerata per i panni
Era un sistema per lavare i panni che le
famiglie
ripetevano una volta al mese. I panni bianchi, lenzuola e federe,
venivano lavati nel lavatoio in acqua fredda, poi venivano messi nel
“cufunaturo”, un recipiente di creta a forma di
cono, largo
in alto e stretto alla base. Si copriva con un panno sul quale veniva
posta la cenere del focolare prodotta dalla legna; sulla cenere veniva
versata acqua bollente. I panni restavano in ammollo in questa
soluzione di acqua e cenere che li lavava in profondità. Il
liquido del lavaggio, chiamato lisciva era conservato ed utilizzato per
lavare i panni più delicati, quali biancheria intima,
magliette,
fazzoletti o per lavare i capelli.
Fonti:
Polito Agostino, Com’era
il mio paese, Forio, Centro di Ricerche Storiche
D’Ambra, 1991, pp. 152-153, 194-195, 198, 214, 265-267; Vuoso
Ugo, Di fuoco, di mare
e d’acque bollenti. Leggende e tradizioni
dell’isola d’Ischia, Lacco Ameno,
Imagaenaria, 2002, pp. 42-44,163-169,184-188, 192-195, 203-207, 252-253.