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Section Patrimonio storico artistico/Beni Scomparsi
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di Raffaella Di Meglio

Nel 1777 Forio contava 13 chiese, 2 oratori e 12 cappelle. L’elenco è incluso nella Nota di tutti i luoghi pii laicali ed ecclesiastici colle congregazioni e cappelle, oratorij e monti ad esse affidati della Città e Diocesi d’Ischia, redatta dal canonico F. Onorato, conservata presso l’Archivio della Diocesi di Ischia:[1]



S. Vito, S. Sebastiano, S. Antonio Abbate, S. Maria di Loreto, Congrega dell’Assunta, S. Gaetano, S. Maria di Visitapoveri, S. Francesco, S. Filippo Neri, S. Giovanni Battista, S. Carlo, S. Maria del Monte, S. Lucia a Monterone, S. Maria dell’Arco, SS. Apostoli Pietro e Paolo, S. Maria delle Grazie a Baiola, S. Lorenzo, S. Michele al Cerriglio, S. Agnello Abbate «nel luogo detto la Spatara», le cappelle delle anime del Purgatorio, di S. Francesco Saverio, S. Venanzio, S. Domenico, S. Martino, S. Giacomo, S. Maria di Costantinopoli.


A queste sono da aggiungere la chiesa di S. Rocco alla Marina e le tre chiese di Panza: S. Leonardo, S. Gennaro e l’Arciconfraternita della SS. Annunziata.

Molte chiesette e cappelle furono edificate dalle famiglie foriane più facoltose tra la seconda metà del XVI ed il XVII secolo per fronteggiare le richieste di una popolazione in crescita.

Dodici dei 27 edifici sacri citati nell’elenco (quelli evidenziati in grassetto) e la chiesa di S. Rocco non esistono più perché demoliti, abbandonati o perché distrutti dal terremoto del 28 luglio 1883. Già prima di questo tragico evento alcuni erano scomparsi, infatti nel 1867 D’Ascia menziona 10 chiese urbane aperte al culto pubblico, due congregazioni, 8 chiese rurali, un eremo e due piccole cappelle chiuse e dimesse, per un totale di 22 chiese.[2]

D’Ascia deplorava l’incuria dei suoi concittadini nei confronti del patrimonio storico-artistico del proprio paese, riferendosi in particolar modo a due veri e propri gioielli del secolo d’oro foriano, il Settecento, quali la cinquecentesca chiesa di S. Sebastiano, ricostruita in questo secolo su progetto di Ferdinando Fuga, e la Cappella Regine:



Se i nostri padri spendevano le loro rendite per dipinti dello Spagnoletto, del de Rosa del Tintorelli, del Giordano del Vaccaio, per scultura del Sammartino, per disegni del Fuga, perché noi da vandali, invece di conservare tali capi d’opera di lustro municipale, o di merito di famiglia, li abbiamo distrutti o abbandonati? Dunque se non vogliamo accrescere perché non conserviamo il retaggio dell’arte come si conviene?[3]


Le notizie su questi beni scomparsi sono ricavate dalle pubblicazioni di Agostino Di Lustro che negli anni Settanta si è dedicato alla ricostruzione della storia delle chiese foriane scomparse studiando i documenti dell’Archivio storico diocesano, in particolare gli atti delle visite pastorali, i notamenti, libri di censi.


[1] I. Delizia, Ischia. L’Identità negata, Napoli, ESI, 1987, p. 184, p. 237 nota 56.

[2] G. D’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, Arnaldo Forni Editore, 2004 [Rist. 1ª ed. 1867, Napoli, Stab. Tip. Di Gabriele Argenio], p. 380.

[3] G. D’Ascia, op. cit., p.309.


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